Uno degli effetti collaterali del lockdown è stato il vero e proprio boom di concorsi fotografici. A ben guardare, da molto tempo, la maggior parte di questi contest non è più organizzata, come una volta, da operatori del settore.
Avevamo parlato di questo argomento durante uno degli ultimi incontri della serie “Chiacchierando di fotografia”, l’appuntamento settimanale presso le nostre aule didattiche, circa un anno fa.
In quell’occasione ci chiedevamo se tutto ciò non stesse portando ad un appiattimento della produzione fotografica generale. Oppure se non si trattasse di uno stratagemma per sfruttare la passione di tanti fotoamatori, accaparrandosi le loro opere senza alcun tipo di riconoscimento.
Certamente, il collegamento di molti di questi concorsi con il mondo della fotografia è davvero labile. In tanti casi il vero obbiettivo di queste iniziative sembra raccogliere i dati di contatto dei partecipanti.
Cioè, sono costruiti ad hoc per creare un elenco di potenziali clienti a cui poi inviare email promozionali. In questo modo, la ragione del boom di concorsi fotografici è ancora più facile da comprendere.
Inoltre, eravamo tutti d’accordo sul fatto che questa “epidemia da concorsite” si stesse diffondendo con una velocità senza precedenti, e che questo boom dipendesse soprattutto da un equivoco sulla tecnologia digitale.
Infatti, con ogni probabilità in molti devono aver sopravvalutato gli effetti della facilità con cui è possibile realizzare una grande quantità di scatti.
Invece, nell’equazione tra la fotografia digitale e l’aumento della produzione di immagini, l’incognita rimane proprio la qualità.
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(In copertina, un incontro della serie “Chiacchierando di fotografia” presso le aule didattiche di Big Foto – Immagine di repertorio scattata prima delle disposizioni sul distanziamento sociale)