Il Caravaggio: il pittore che inventò la fotografia

Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, nacque a Milano nel 1571, ma la  sua pittura della realtà è talmente attuale che si stenta a credere che le sue idee siano state concepite quatto secoli fa.

Tutto nei suoi dipinti, dalla luce al taglio della composizione, si distanzia dalle esperienze dei suoi contemporanei, ponendolo in anticipo rispetto ai tempi, tanto da poter dire che Caravaggio è l’inventore della fotografia. 

Infatti, anche se la fotografia come la intendiamo oggi è nata ufficialmente nel 1839-40, Caravaggio la prefigura già nel 1600, rifiutandosi di rappresentare la realtà come dovrebbe essere, bensì riproducendola esattamente com’è, proprio come la  vediamo in una fotografia.

Davanti ad un suo quadro, è come se fossimo aggrediti dalla realtà, che lui riproduce in maniera totalmente  mimetica.

Una pittura che coglie l’attimo

Ma il pittore si spinge ancora oltre: la sua fotografia supera nell’accezione di ritratto posato, e va alla ricerca di  una realtà che ci coglie quasi di sorpresa.

È quell’attimo decisivo a cui spesso fa riferimento Henri Cartier-Bresson, la fotografia come attesa e cattura del momento in cui la realtà si sta determinando. Anche Ferdinando Scianna ha detto che la fotografia salva istanti di vita nel momento stesso in cui li uccide

Quindi, Caravaggio sovverte il sistema di valori tipico dei pittori del suo tempo,  collocandosi in una posizione di sorprendente modernità in cui la realtà  non è più qualcosa da abbellire o migliorare, ma da rappresentare così com’è e come si determina.

Tutto, dalla posizione di un dito all’espressione di un volto, cela questa scelta temporale, questo tipo di  visione della realtà, producendo un effetto che nessun pittore, nessuna posa predeterminata avrebbe potuto creare.

Un lavoro senza precedenti

Caravaggio lavora dal vero senza disegni preparatori, riproducendo la luce e l’ombra come nessun artista  aveva mai fatto prima.

Per esempio, nel “Ragazzo morso da un ramarro” Caravaggio coglie l’attimo in cui il ragazzo ritrae la mano con una smorfia di  dolore e lo traduce in immagine, esattamente come per un’istantanea  fotografica.

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Michelangelo Merisi da Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro, 1596, olio su tela, 65,8×52,3 cm, olio su tela, Firenze, Fondazione Longhi

E se è vero che fotografare significa scrivere con la luce, è  altrettanto vero che sono proprio i chiaroscuri, dove è la luce che discerne, segnala e  definisce l’immagine, a rendere Caravaggio uno dei pittori più celebri al  mondo.

Infatti, nella “Conversione di San Paolo” una luce strisciante, meravigliosa, prende in controluce le mani di Paolo e  crea un effetto di chiaroscuro formidabile, con le dita che sembrano tremare.

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Michelangelo Merisi da Caravaggio, Conversione di San Paolo, 1601, olio su tela, 230×175 cm, Roma, Basilica di Santa Maria del Popolo – Cappella Cerasi

E ancora, nella “Maddalena penitente” non c’è una definizione  dello spazio minuziosa, ma un semplice cortile con una lama di luce che attraversa il muro.

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Michelangelo Merisi da Caravaggio, Maddalena Penitente, 1595, olio su tela, 122,5×98,5 cm, Roma, Galleria Doria Pamphilj

Questa lama di luce che passa attraverso un varco  improvviso, consentendogli di distribuire la luce sulle figure, si  contrappone alla luce di Raffaello e di Michelangelo, che è una luce nel  momento di massima chiarezza del giorno.

La scena dell’imponente “Vocazione di  San Matteo” è uno degli esempi più celebri di questa tecnica, e segna il passaggio da un’epoca a un’altra per quanto riguarda l’uso della luce nella pittura. 

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Michelangelo Merisi da Caravaggio, Vocazione di San Matteo, 1610, olio su tela, 322×340 cm, Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi – Cappella Contarelli

Leggi anche: Il segreto della pittura fotografica di Caravaggio

Margherita da Bologna

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